Franco Arminio

La guerra vista dal basso occidente


La sera stessa


La guerra era già in atto, ma noi pensavamo ad altro. L’occidente era in guerra ma non lo sapeva, perché la sua guerra la stava vincendo con le armi delle monete. E adesso l’orrore è che non avremo la forza di riorientare il nostro modo di stare nel mondo, in un mondo di cui siamo una piccola minoranza.
Mentre cadevano le torri, mentre si aspettavano altri attacchi, ogni tanto le televisioni ci hanno parlato di soldi. Le borse europee non hanno chiuso e c’è chi ha fatto grandi affari mentre uomini e donne morivano nel fumo, nella polvere, nel fuoco.
Quello che si dirà in questi giorni conterà davvero poco. E speriamo, comunque, che siano solo parole. Tutti noi, cittadini dell’occidente, non dobbiamo cadere nella trappola di pensare che siamo stati vittime di un gruppo di folli. Siamo in un intricatissimo gioco di conflitti, che c’era prima di oggi e proseguirà a partire da domani. Questo conflitto appaia le vittime innocenti delle torri ai poveracci della Sierra Leone in cui la vita media è di venticinque anni. Noi che stiamo in una remota provincia dell’impero dobbiamo capire che questa indimenticabile giornata colpisce anche il nostro stile di vita. Ce ne dovremmo ricordare ogni volta quando guardiamo i nostri armadi colmi di vestiti, le nostre case colme di oggetti inutili, le nostre grandi macchine. L’occidente è stato colpito interamente, in ogni suo angolo. La polvere delle torri copre tutti noi. Siamo noi il bersaglio. Non credo, a giudicare da quello che si vede in queste ore in televisione, che i capi dell’occidente siano maturi per capire quanto sia assurdo il loro modo di guidare il mondo. E allora siamo chiamati noi tutti a questa faticosa comprensione.. Dobbiamo sfuggire alla sensazione di non poter essere altro che spettatori. Anche da qui, in ogni casa si decide qualcosa; dalle nostre scuole, da un piccolo giornale, da un bar, da una piazza dobbiamo ritrovare un modo di abitare il pianeta che non sia asservito al delirio del denaro e della prepotenza. Se rinunceremo a questo sforzo di giustizia potremmo anche salvarci, ma fra venti o trent’anni i nostri figli bruceranno la loro vita contro i figli di altri popoli. Questo mirabile e maledetto angolo dell’universo ha visto tanto dolore, ma per la prima volta ha gli strumenti per non aggiungerne altro a quello che già ci consegna la naturale vicenda del vivere e del morire. Quegli strumenti sono in mano a tutti noi, anche se ci fanno credere che sono solo loro a contare, quelli che vedremo nei prossimi giorni nel più grande spettacolo che l’occidente abbia mai consumato.


Il giorno dopo, ad Avellino


Il giorno dopo il primo che incontro
Chiede il corriere dello sport.
Sono ad avellino, europa meridionale, basso occidente.
Davanti al bar placidamente seduti
Tre amici sorseggiano un aperitivo,
Uno di loro legge il giornale su cui
C'è una grande scritta: apocalisse.
Poco prima una ragazza che non mi vedeva
Da un paio di mesi mi ha salutato
Come se non mi avesse mai visto,
Gliel'ho fatto notare e lei si è scusata,
Ma subito dopo ha espresso la sua gioia
Per la tragedia americana.
Ho detto al mio amico che era meglio andarcene
E abbiamo lasciato la fanciulla antiimperialista.
Secondo la televisione io adesso
Sto passeggiando nel mondo dei civili,
Un mondo attaccato, assediato dai barbari
Dove persone per bene e furbastri e imbroglioni
Stanno mischiati
E non sempre si ha voglia di trovare la differenza
Per il semplice motivo che qui il cuore di tutto
È l'indifferenza, essa non è solo un principio
Dissolutore di nessi fra diverse comunità o diversi
Individui, ma è divenuta una forma di legame,
Uno stemma della nostra identità.
Anche se c'è un bel sole settembrino
Stamane Avellino ha un colorito che somiglia
Al pallore del rigor mortis:
Cosa c'è di più indifferente dei morti?
Io non sono andato a Genova
E tendo a credere che se i ricchi sono tali
A danno dei poveri
Non sempre i poveri sono tali a causa dei ricchi.
Io penso anche che sono più rivoluzionari
Gli uomini che leggono rispetto ai rivoluzionari
Che non leggono. Questi ultimi hanno spezzato
Gambe, sfigurato volti, bruciato tacchi,
Camice e gonne in due immensi palazzi
E facendo questo hanno messo New York
Accanto ad Auschwitz facendo dimenticare
Hiroshima.
Stamattina l'occidente che scorre lungo il corso
Di Avellino, mi appare privo di motivazioni,
Una città in cui è suonato il requiem dell'etica
E dell'estetica, una città che non contiene
Nient'altro che se stessa e le sue automobili.
Tutte le persone che incontro
Mi sembrano persone sconfitte, gente convinta
Che qui non ci sia più nulla da trovare
E dunque non vale la pena cercare.
I migliori però sanno che non c'è niente dentro
E non c'è più niente fuori.
Tra il pensiero e le parole, tra noi e gli altri
Si è aperto un abisso.
Sono le otto di sera del giorno dopo,
Qui non brucia nulla e la città
Non riesce a vedersi nella sua indifferenza
Gelida e disperata. A quest'ora molti
Tornano nelle loro case ignari
Che adesso il compito non è di fare politica
O di cenare, ma di pensarsi,
Abbracciare la propria moglie
O un cane o un figlio
E vedersi, vedere come ci hanno ridotto
Questi ultimi cinque secoli
In cui siamo passati dalla teologia
Alla tecnologia, dalla poesia
Alla macelleria.


A Bisaccia, quattro giorni dopo

Perché non lo dite che vi stavate
Annoiando e questa è l’occasione che cercavate,
Perché non lo dite che non vi basta più neppure
Arricchirvi, la noia corrode tutto troppo in fretta
E allora volete una guerra lunga e sanguinosa,
Non la volete per vendicare i morti
Delle torri ma perché siete assetati di sangue
E il sangue è un buon rimedio alla noia.
Fate o spingete a fare quel che vi pare
Ma almeno tenetevi lontani da ogni crocifisso
E se andate a messa non scambiatevi
Il segno della pace.
Fatela questa guerra che farà più ricco
Bruno vespa e i venditori di missili
E proiettili, fatela perché siete vili
E sapete che almeno all’inizio vincerete
E ve la caverete, ma poi, forse fra vent’anni,
Non ci sarà più scampo.
Ero andato in piazza
Per cercare un lampo, un guizzo d’indignazione
E invece mi ritrovo anche qui, nel cuore
Dell’Irpinia d’oriente, col terribile delirio
Della vendetta. E sono io a sembrare
Il delirante e devo tornare a casa
Prima che il cuore diventi schiuma
E mi esca di bocca.
E allora, prima che il fiato si dissecchi,
Prima che ogni vita sia stecchita
io vi scongiuro,
miei concittadini d’occidente:
Se ancora siete umani,
non fate la guerra ai cani.


L’occidente tra i pastori


Stamattina il tg2 dice che sono tutti
d’accordo, sembra che tutto il mondo
adesso debba marciare contro i pastori
afgani. Ammazzeranno le mamme
faranno saltare gli scariazzi
ammazzeranno i più poveri
quelli che non sono riusciti a fuggire
ma ci racconteranno che tutto è stato fatto
bene e in grande stile.
Ma lì l’unica cosa grande
erano le statue di Buddha che i talebani
hanno già distrutto.
Forse il massacro delle capre
sarà utile alla borsa e ai giornalisti becchini
e ai sinistrati sinistranti
alzabandiera della vendetta.
E allora avanti, insieme e in fretta,
non ha alcuna importanza capire
a che delirio siamo giunti.
Amici rari,
in tutta questa baldoria di criminali
e di gendarmi,
lavoriamo perché il mondo si disarmi,
non diamo pace a chi si vanta
di questa inutile e immonda guerra santa.

Pausa di guerra


Stasera i giornalisti erano un po’ meno
eccitati: pare che ci voglia ancora tempo
per vedere il gran massacro, anzi
c’è il rischio che venga diluito in piccole
azioni poco spettacolari.
Ma l’apocalisse non può essere
subito archiviata, o declassata
alle normali porcherie che si compiono da anni.
Vedete adesso anch’io non ho niente da dire,
e mi deprimo solo perché
un prete alla televisione ha dichiarato che bisogna
colpire ma con giustizia.
L’aria di tragedia
è scemata, qualcuno comincia a scollarsi
dal video e a coltivare i propri vizi personali.
Almeno qui da noi ci vorrebbe che il cavaliere
venisse rapito dai talebani e messo in un ovile
senz’acqua e poco pane.
La stessa sorte a Bruno Vespa e ai diessini
di destra, taciti sulle ragioni degli oppressi
perché convertiti ai fidi e agli interessi.