la visita

non è questione estetica.
spesso dicevo che non ero un uomo
ma una bimba di sei anni.
era un modo di passare nell'altro
farmi strada per stare chissà dove.
i cani vanno sulle ossa,
i vermi sui cadaveri
ed io non so dove andare
le parole non sono la mia meta
e forse neanche gli uomini e le donne.
vengo da te libero e senza meta
posso frugare tutte le tasche
dell'assurdo
e tu mi lascerai frugare
perché io porto ancora in salvo
sulla punta delle dita
il fosforo del vuoto in cui anneghiamo.

mi piacerebbe che tu mi accogliessi
in una casa buia
anche se vengo
di notte o alle dieci del mattino.
mi piacerebbe che tu mi accogliessi
portandoti una mia mano in bocca,
senza sorrisi e vischio
ma solo il rischio di qualche gesto
del corpo che non sa se l'altro corpo
è albero o bufera.
questo non sarà mai sesso, ovviamente,
né un dirsi o un darsi o un modo di svagarsi.

è che dovrà finire questa storia
fatta coi vecchi arnesi dell'odio e dell'amore.
ti sentirò imperiosa
intorno a un mio ginocchio
ardimentosa come mai fu alcuna,
io rotula del mondo e tu la luna.

non voglio niente del già dato
e per orgoglio o per viltà negato.
in piedi, sui ciottoli,
davanti alla finestra tu ti schiudi
io cerco il nero delle labbra
ed il celeste
io voglio che tu assorba il mio respiro.
tu, primo paradiso
ultima peste.

così prendo premura delle cose
durante la loro dissolvenza,
vagheggio di sfumare, farmi vento.
ma ormai sono montate le catene
del saluto,
io me ne vado e ciò che lascio è salvo,
guardo la vena
che riposa sul tuo collo.