Lettera di un morto
Passo tutto il giorno a pensare, in ogni secondo riesco a pensare cose che quando
stavo sopra la terra ci volevano molti giorni. La morte, credimi, non esiste.
Gli uomini si sono inventati la storia che si va da un'altra parte o che non
c'è più niente semplicemente perché gli uomini non vogliono
arrendersi all'evidenza: tutto continua, ma in un modo diverso, si vive, ma
dentro una bara. Io dopo pochi minuti che ero morto, quando il primo verme mi
è saltato nella coda dell'occhio, ho capito che niente era finito. Non
pensare che il mio sia uno stato penoso: il buio, la puzza, la carne putrida,
e poi le ossa sfasciate e poi la cenere, tutto questo noi lo percepiamo diversamente.
Quello che io adesso penso, a te arriverà in forma di parole, le parole
che usano i "vivi", ma qui ogni granello di materia ha una lingua
diversa e la sofferenza e la felicità non esistono, insomma non c'è
inferno e non c'è paradiso e si resta esattamente dove ci mettono, se
uno muore in fondo all'oceano conduce una vita un poco diversa da chi è
sistemato in una bara, o da chi è direttamente incenerito e finisce in
una piccola urna, in fondo all'oceano ci si dissolve lentamente tra le conchiglie
i coralli e la sabbia, per ritornare alla fine nel flusso e riflusso delle correnti,
indistinguibile dalla candida spuma. Io non so dirti esattamente da dove vengono
questi pensieri, forse da un angolo di un solo atomo, forse da niente, forse
da tutto. Ad ogni modo io adesso so perché tu non volevi stare con me.
So anche che cominciai ad ammalarmi quella sera che in ginocchio ti chiesi di
abbracciarmi e tu te ne andasti. Una cellula del pancreas si annerì di
colpo e portò le sue bandiere nere in giro per il corpo.