Lettera ad un poeta

caro valerio
il tuo libro è davvero vertiginoso (un aggettivo che usi fin troppo spesso).
l'ho ripreso dopo una lunga interruzione dovuta all'infiammarsi del mio impegno civile.
prima di addormentarmi ho letto una trentina di pagine di autoscopia e per tutto il sonno ho tenuto l'io che sembrava dentro di me come una bottiglia rotta e bucava la carne e non mi lasciava dormire, un sonno illuminato da io luccicante che migrava da ogni parte, l'io deve fermarsi se vogliamo dormire...
il tuo libro tratta l'unica questione che mi sono posto incessantemente, una questione allo stesso tempo molto utile e molto inutile, chiedersi cosa sia un io per sapere cosa siamo noi e dove siamo e dove stiamo e da quale punto pensiamo e come facciamo a sapere che pensiamo e che siamo e con quale organo ci accorgiamo che siamo una certa cosa e come possiamo vedere dentro di noi e come possiamo veramente vederci e come fare di se stessi un'accozaglia di pensieri e di emozioni e di sapere e di non sapere e come capire e non capire e l'io che pensa ad un altro io è lo stesso che tengo io e l'io che hai tu come sa dell'io che tengo io e se non ci fossero questi io se li lasciassimo un pò e se perdessimo la i oppure la o e se provassimo a prolassare veramente nella nostra carne senza questo guizzo che ci elettrizza senza questa apparenza del niente e senza questo essere vivi dentro il niente e per niente vivi o morti e deliranti e ignoranti e colloquianti, e se vuoi vado ancora avanti, vado da un'altra parte, tanto l'io non si addormenta mai e non si ferma neppure se gli spari alle gambe, l'io ha delle gambe suo ed un suo cuore, io ho sempre cercato il cuore dell'io e ho trovato la milza, sto facendo una recensione del tuo libro senza averlo finito, sto ancora in mezzo al tuo libro, sto allagato in esso, non ne posso uscire, un libro che non si può prendere tra le mani a piacere e poi lasciarlo, un libro come un romanzo scritto a quattro mani da una pulce e un buco nero, un libro in cui la tua mente fruga nel pensiero di uno che scriveva nell'ora in cui scrivo pure io, lo faceva sempre, ed io sapevo che era lui l'uomo giusto, l'uomo uovo da cui può uscire il miracolo di fare spettacolo col pensiero.