Mostra alla Gall. Maniero aprile 2002
cura: Raffaele Gavarro
Domande e risposte naturalmente
via e-mail dal 3 al 10 aprile del 2002
Raffaele Gavarro - Sei stato uno dei
primi in Italia a lavorare con il computer e con le nuove tecnologie
sin dall'inizio degli anni novanta, ma mi sembra che nel corso degli
anni la tua tendenza sia stata quella di mostrare sempre meno gli
"effetti" degli strumenti che usavi. Qual è l'idea
che ti sei fatto delle nuove tecnologie in relazione all'arte?
Paolo
Bresciani - Le nuove tecnologie allargano gli orizzonti,
le necessità spirituali sono un'altra cosa. Evolvere la propria
anima è un'iniziazione, le tecnologie digitali aprono nuove
possibilità per trasmettere antiche tecniche d'iniziazione,
non ho trovato necessario evidenziare il mio utilizzo di tecnologie.
Arte è un cammino personale, la rete mondiale dei computer
è uno spazio virtuale. Una bella passeggiata m'incuriosisce
sempre. Le nuove tecnologie pervadono la nostra vita quotidiana
e anche chi non le usa ne è influenzato, figurati l'Arte.
R.G.
- Comunque è stato meglio evitare il fotoshop. Ma m'interessava
indagare meglio questa relazione tra tecnologia e antiche tecniche
d'iniziazione a cui accennavi. C'entra il viaggio che hai intrapreso
nel 1993 di fusione dell'immagine del tuo volto con gli animali,
con le piante e altri elementi?
P.B.
- Certo: deformare la mia faccia in decine di animali diversi, trasformare
la mia maschera in continuazione è un viaggio all' interno
della psiche, definisce io "cosa" sono.
L'iniziazione è caratteristica di tutte le culture: la conoscenza
si tramanda così.
In passato si usavano rituali la cui riuscita dipendeva dall' abilità
dell' interpretazione dei segni,della loro sequenza, una struttura
che ritrovo nella rete mondiale dei computer.
Ho già iniziato a costruire un sito, un ipertesto visivo,
in cui il visitatore è avviato verso una sperimentazione
iniziatica. Al momento questo sito è un deposito, di micro
esperienze.
R.G.
- Dalla tua faccia agli oggetti che diventano indicatori emblematici,
stabilendo tra loro relazioni non casuali fino a trasformarsi in
formiche. Cos'è "OBJ"?
P.B.
- Prima mi sono trasformato in animali poi in oggetti poi in tutto
(alighiero&boetti).
La trasformazione è uscita da "me" sfumando nel
"non me", l'esterno.
Il confine non è ben definito, dall'io egoico al tutto, o
forse al niente.
Gli oggetti sono cose che ci circondano continuamente, anche se
noi non diamo attenzione ad una lampadina o ad una penna, essi definiscono
la nostra realtà, il nostro io-se. E' stato naturale usarli
come punto di trasformazione: io-animale
io-oggetto
oggetto-io.
"OBJ" è un progetto di microsculture che deforma
lo spazio vivibile in maniera leggera, ma profonda. Centinaia di
piccole formiche-oggetto, lampadine, forbici circondano nel loro
abbraccio le mura del nostro spazio. Io guardo attraverso mille
occhi di formiche-matita e vedo mille e mille prospettive.
R.G.
- Sei per metà americano, hai studiato all'Art School di
Chicago, eppure sei tornato a vivere in Italia, un posto certamente
più difficile per valorizzare il tuo lavoro. Cos'è
che ti ha trattenuto tra Napoli, Todi e Roma?
P.B.
- I conti tornano. Nel 1981 ho fatto una scelta: la cultura italiana
m'interessava di più.
Gli americani sono ossessionati dall'azione, tutto è solamente
azione.
Se sviluppi l'interno, l'interiorità, l'esterno segue automaticamente.
L'azione sviluppa immancabilmente dalla riflessione (specchio).
Eccoci di nuovo all'iniziazione della conoscenza.
La conoscenza porta alla coscienza. Prima la coscienza poi l'azione.
Prima l'Italia poi l'America.
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